Spopolamento e abbandono scolastico: l’allarme lanciato dalla Cisal nel report dell’Eurispes Calabria

Notizie dalla CISAL

Decremento demografico, innalzamento dell’età media e calo occupazionale sono le tre sfide più difficili da affrontare nel post-pandemia. Da anni si evidenzia un movimento costante di svuotamento dei piccoli comuni, specie quelli che si trovano all’interno della regione


Il decremento demografico, l’innalzamento dell’età media e il calo occupazionale rappresentano le tre sfide più difficili che l’Italia si appresta a combattere nel post-pandemia. Tra i territori più penalizzati e che vivono in maniera più critica la combinazione tra questi fattori, la Calabria rappresenta un caso emblematico. Nonostante le immagini di spiagge affollate e piazze piene di persone che siamo abituati a vedere nei mesi estivi, la Calabria sta subendo un calo demografico impressionante.

Da anni si evidenzia un movimento costante di svuotamento dei piccoli comuni, specie quelli che si trovano all’interno della regione. Ogni anno da questa regione migliaia di persone decidono di andar via e tentare fortuna fuori, in altre parti d’Italia o all’estero, lasciando un vuoto che col tempo è destinato ad aumentare. Il 2018 ha fatto registrare un decremento di circa 14mila residenti, che nel 2019 ha raggiunto quota 17mila, dati statistici alla mano1. Un trend, questo, confermato anche nel 2020, che, rispetto all’anno precedente, ha fatto registrare un incremento dell’11,9% sulle migrazioni. Numeri allarmanti, che diventano impressionanti se confrontati con un altro dato statistico, quello relativo al calo delle nascite: passate da poco più di 14mila del 2018 a circa 13mila nel 2019.

Quella che emerge è una tela su cui è raffigurata una regione vecchia e vuota: i giovani vanno via, e quasi sempre lo fanno per mancanza di lavoro, mentre quelli che decidono di rimanere difficilmente mettono su famiglia, determinando, così, un decremento drastico della popolazione. L’Istat ha previsto che con un tale trend, nel 2050 la Calabria scenderà a 1,2 milioni di abitanti, con una maggioranza fatta di anziani. Si legge in una nota della Cisal del febbraio 2020: «I numeri confermano lo stato di abbandono in cui versa il Mezzogiorno tutto e, in modo particolare, la Calabria. La Calabria è un’area compromessa da un sempre crescente aumento delle diseguaglianze interne e dall’ampliamento della povertà. I calabresi scappano, non fanno figli, perché a queste latitudini non trovano lavoro, sono ostaggio di burocrazia e Pubblica amministrazione non sempre efficiente». Tra le concause di questa situazione, aggiungiamo, l’arretratezza infrastrutturale con cui è costretto a convivere e lottare quotidianamente soprattutto chi vive nelle aree interne e la criminalità organizzata.

Fattori, questi, che hanno fatto della Calabria, la regione – in termini relativi rispetto alla popolazione residente – con il tasso di emigrazione più elevato: più di 9 residenti su 1.000 lasciano la Calabria per trasferirsi al Centro-Nord e all’estero. Un movimento migratorio che va avanti da anni e che è solo la punta di un gigantesco iceberg verso cui la Calabria, purtroppo, naviga a gonfie vele: se le migrazioni crescono, le scuole, di conseguenza, chiudono per mancanza di bambini, gli uffici pubblici si trasferiscono, e i paesi rimangono un contenitore vuoto.

Si accennava alle scuole che chiudono e non si può non andare dritti al cuore di un altro grande problema: l’abbandono scolastico e la povertà formativa.

L’istruzione obbligatoria, in Italia, ha la durata di 10 anni, eppure, in alcuni casi, gli studenti abbandonano il percorso scolastico e formativo senza avere conseguito, nel frattempo, un titolo di studio superiore al diploma di scuola media inferiore, ponendosi in una situazione di svantaggio rispetto ai coetanei. La percentuale di giovani tra 18 e 24 anni che ha abbandonato precocemente gli studi è del 13,5% nel 2019.

Al Sud quasi un ragazzo ogni cinque lascia la scuola in anticipo. La Calabria raggiunge vette di dispersione scolastica del 20,3% e, mentre negli ultimi dieci anni la situazione è in miglioramento in tutta Italia, in Calabria è peggiorata dell’1,8%.

Per quanto riguarda l’abbandono della scuola media, la percentuale è dello 0,8%, superiore di 0,1 punti percentuali rispetto alla media nazionale. In Europa il 10,3% dei ragazzi non possiede un diploma di scuola superiore di secondo grado; rispetto al 2019 notevoli progressi sono stati raggiunti in Portogallo (-20,2%), Spagna (-13,7%), Grecia (-9,9%) e Malta (-9%). In Italia, al Sud, la quota di abbandoni supera il 20%, con la Sardegna in testa a questa triste classifica (23%), seguita da Sicilia (22,1%) e Calabria (20,3%). A pagare il prezzo più alto sono soprattutto i bambini e i ragazzi calabresi di sesso femminile.

Lo svantaggio dei ragazzi che vivono nel Mezzogiorno si rileva anche nell’uscita precoce: se al Nord e al Centro hanno abbandonato la scuola il 10,5% e 10,9% dei 18-24enni, nel Mezzogiorno sono stati il 18,2%. La regione che, in 10 anni, ha ridotto notevolmente il numero di early leavers from education and training è la provincia autonoma di Bolzano (dal 21% del 2009 al 11,6% del 2019 con -9,4 punti percentuali). Nell’ultimo anno, invece, è in Sardegna che diminuisce fortemente la quota di abbandoni scolastici (-5,2 punti percentuali). Le variazioni territoriali delle quote di laureati tra i giovani di 30-34 anni e di persone con almeno il diploma di scuola secondaria superiore nella popolazione di 25-64 anni sono consistenti: al Centro-Nord e in Abruzzo, Molise e Basilicata si contano più di 60 diplomati ogni 100 persone, e nelle altre regioni del Mezzogiorno poco più di 50 ogni 100; in Piemonte, Lombardia, provincia autonoma di Trento, Veneto, Friuli-Venezia Giulia, Emilia-Romagna e Lazio ha un titolo terziario un giovane ogni tre, mentre nelle altre regioni circa uno ogni quattro. Le quote di persone che partecipano alla formazione continua e ad attività culturali – due variabili molto correlate con il titolo di studio – raggiungono livelli elevati nelle regioni settentrionali e centrali, la cui popolazione è comparativamente più istruita che nel Mezzogiorno.

Le competenze alfabetiche e numeriche degli studenti che frequentano la seconda classe della scuola superiore di secondo grado, l’uscita precoce dal sistema di istruzione e formazione, e la quota di Neet, mostrano lo stesso gradiente regionale. Indicatori più alti della media si rilevano in provincia autonoma di Trento, Veneto, Friuli-Venezia Giulia e Lombardia, mentre quelli raggiunti in Sardegna, Sicilia, Calabria, Puglia e Campania sono inferiori alla media nazionale.

L’indicatore con variazioni territoriali meno consistenti è quello che misura la partecipazione dei bambini di 4 e 5 anni alla scuola dell’infanzia e, per quelli di 5 anni, alla prima classe della scuola primaria. In Campania, nell’anno scolastico 2017/2018, il 99,3% dei bambini di 4-5 anni hanno frequentato una scuola pre-primaria o primaria; nel Lazio l’88,8%. Anche l’indicatore che quantifica la quota di giovani che approdano all’Università dopo la conclusione degli studi secondari superiori varia di poco da una regione all’altra: in Puglia, Campania, Sicilia e Calabria si iscrivono per la prima volta all’Università nello stesso anno in cui hanno conseguito il diploma poco meno della metà dei diplomati; all’opposto, nel Molise, in Abruzzo, nelle Marche e in Liguria più del 55%.

Il rapporto di Save the Children del 2020 non lascia margini di interpretazione: in Italia oltre il 42% dei minori vive in povertà relativa, solo il 3% ha accesso ad asili nido e la dispersione scolastica ha raggiunto il 19%. In Calabria i dati sono ancora più allarmanti, tanto da essere stata definita la “zona rossa” della povertà educativa. In Calabria il 42,4% dei minori vive in condizioni di povertà relativa, attestandosi al primo posto di questa classifica. Il lockdown del 2020 e l’avvio della didattica digitale non hanno fatto altro che complicare le cose: è stato stimato che il 12,3% dei minori, a marzo dello scorso anno, non possedeva un pc o un tablet a casa, rendendo impossibile l’accesso all’istruzione, un diritto garantito per tutti. I dati raccolti da Save the Children rivelano che circa 34mila studenti delle scuole superiori, a causa delle assenze prolungate, rischiano di alimentare il fenomeno dell’abbandono scolastico. La didattica digitale si è dimostrata un ostacolo per l’apprendimento: il 28% degli intervistati ha affermato che dal lockdown di primavera c’è almeno un proprio compagno di classe che ha smesso completamente di frequentare le lezioni. Il 7% afferma che i compagni di scuola “dispersi” a partire dal lockdown sono tre o più di tre. Il 35% ritiene che la propria preparazione scolastica sia peggiorata. Uno su 4 deve recuperare diverse materie. Per il 38% degli adolescenti la didattica a distanza è un’esperienza negativa. In generale, la principale difficoltà è rappresentata dalla fatica a concentrarsi per seguire le lezioni online e dai problemi tecnici dovuti alla connessione Internet/copertura di Rete propria o dei docenti. Guardando alle dotazioni dei ragazzi, quasi il 18% dichiara di aver a disposizione un dispositivo condiviso con altri e l’8% si trova a frequentare le lezioni in una stanza con altre persone. Situazione drammaticamente descritta anche dal Presidente Mario Draghi, nel discorso programmatico al Senato del 17 febbraio 2021: «a fronte di 1.696.300 studenti delle scuole secondarie di secondo grado, nella prima settimana di febbraio solo 1.039.372 studenti (il 61,2% del totale) ha avuto assicurato il servizio attraverso la Didattica a Distanza».

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